Di
Massimo Valeriano Frisari
Per seguire correttamente la Religio Romana ed entrare in sintonia con la spiritualità antica bisogna comprendere alcuni concetti fondamentali che per i nostri Antenati erano scontati e inscindibili dalla nozione stessa di sacro. Ovvero il dovere e la Pietas.
La cosa più importante è capire cos’è il dovere per l’uomo romano, perché egli decide di impegnarsi con questi complessi rituali che tracciano i confini del suo tempo e del suo spazio. Cose che, per l’uomo moderno succube delle passioni, risultano incomprensibili e spesso difficili da accettare.
Il mio rapporto con gli Dèi è un impegno che come ogni legame –sia giuramento, vincolo, patto o amicizia- ha valenza sacra. Se all’alba, quando il corpo e la mente sono succubi del sonno, anche con la malavoglia mi alzo a recitare le preghiere, di certo non posso dire che sia un piacere o un attività che distrae. Questo è il dovere che mi lega a un impegno che ho sottoscritto già con il rito, un patto col Divino che mi garantisce i benefici della reciprocità degli accordi. Il mio umore personale, volubile e instabile, non deve ostacolare il mio dovere sacro che in quanto patto col Divino è già di per sé il sommo sacrificio e prova di incrollabile e incondizionata Pietas.
Certo è vero che si deve cercare il più possibile di mantenere un clima di armonia e di pace durante le funzioni religiose, ma arrivare a saltare un rito perché quel clima –per diverse cause- viene a mancare, quindi giungere a trascurare il proprio impegno e la parola data, è un atto di grave negligenza. L’impegno è un atto sacro, una prova di fede. E cosa è la Fides se non la lealtà, il giuramento e il legame?
Oggi invece è opinione comune che sia il sentimento fine a sé stesso a mantenere un rapporto tra uomo e mondo divino secondo un interpretazione romantica e moderna che da tempo ormai annebbia la mente della gente. Viviamo nell’epoca del “cuore”, dove una cosa è buona solo se piacevole, rivoluzionando completamente il concetto di giustizia e di dovere con le tragiche conseguenze che possiamo vedere tutti i giorni. Quindi se l’azione non è gradevole o armoniosa –un armonia fittizia che non è l’equilibrio compatto di un nucleo sociale- viene considerata negativa e inutile.
Chi accusa la Religio di essere macchinosa e superficiale come un contratto commerciale ricordo loro che a Roma non esiste accordo, vincolo o legame di alcun tipo senza un fondamento sacrale. Non si può entrare in quest’ottica senza tenere a mente la religione del giuramento caratteristica della Tradizione più antica dove gli Dèi a cui era consacrata la comunità e lo Stato erano il Dius Fidius, Iuppiter Lapis, Fides: numi garanti del giuramento e dei patti inviolabili. Solo un atto sacro può unire due parti in un unico impegno che in quanto tale è un vincolo sacrosanto e infrangibile.
Il Pactum con gli Dèi non è sacro per la Divinità della parte che ne è invitata a partecipare, ma è sacro proprio perché è un Pactum. E ciò vale per la religione come per l’impegno verso la famiglia, la Patria o la propria comunità. Venire meno a ciò è la più grande empietà, sinonimo di disonore e tradimento, essendo la propria parola la base di ogni accordo.
Quindi l’uomo romano vive questo rapporto come un coinvolgimento sacro che si esprime nell’impegno costante di chi riconosce tutto il peso del proprio dovere.
Già lo stare in piedi davanti all’altare è un atto di Pietà in quanto prova di un compito che viene preso e che continua a unire le due parti in un sodalizio inviolabile e incorruttibile.
E non è un caso se le virtù fondanti della spiritualità romana sono la Fides, ovvero la reciprocità dell’impegno e la parola data che lega le due parti; la Pietas che è la giustizia, il rispetto e la devozione verso gli Dèi; e la Religio che secondo l’etimologia antica è la cura e l’osservanza dell’atto sacro, la giusta esecuzione del rito che garantisce il favore degli Dèi, quindi il timore reverenziale verso questi.
Tutto ciò ci conduce a leggere la Religio Romana come l’insieme delle azioni e degli scrupoli che consolidano e mantengono vivo un legame con forze ultraterrene, un impegno che è sacrosanto e inviolabile come la parola data mentre si invoca il Dio del Giuramento, un atto di giustizia e di rispetto che è il dovere preso nei riguardi del mondo divino e che è l’essenza stessa della religione. L’uomo pio quindi è colui che coltiva con dedizione e cura il rapporto con gli Dèi, senza farsi vincere dalle passioni e dalle debolezze umane: egli fa quello che fa perché è il suo dovere di homus religiosus, questo è il suo sacrificio più grande.
E chi più del Pio Enea può essere un modello di incrollabile Pietà e ferma dedizione agli Dèi? Senza colpo ferire, senza farsi sopraffare dai dubbi e dagli istinti il giovane principe troiano si fa carico del suo destino perché questo è il suo compito, accetta il Fato con coraggio e valore e vince il dolore e la debolezza. L’eroe virgiliano non ha incertezze e obbedisce al richiamo degli Dèi scavalcando i sentimenti e gli impegni individuali che lo portano a voltare le spalle all’amore e alla casa che lo aveva accolto calorosamente per tornare a cavalcare il mare insidioso verso una sorte incerta. Pietà, dovere, incorruttibilità, devozione: sono queste virtù che conducono Enea al meritato trionfo.
Nessuno ci obbliga a sottometterci a rigidi e macchinosi canoni, l’uomo pio decide in totale autonomia se abbracciare o meno la Religio, una scelta che scaturisce dal suo senso di Pietà. La volontà conferisce una sacralità maggiore all’atto: un uomo che in libertà sceglie di impegnarsi con gli Dèi sacrificando sé stesso al dovere che porrà al di sopra dei piaceri e delle faccende personali, e che non sarà né l’umore né la stanchezza a distrarlo dal suo compito, è la prova vivente di un animo pio e pietoso.
E questa Pietas è una virtù che si possiede o non si possiede: è ciò che distingue l’uomo religioso e veramente rispettoso del Divino da chi invece interpreta a piacere la spiritualità per soddisfare i suoi bisogni privati. Solo chi sente la Pietà dentro di sé può comprendere l’importanza di impegnarsi con serietà e abnegazione nel delicato compito di onorare scrupolosamente gli Dèi.
Ritrovare questo spirito è fondamentale per recuperare l’essenza dell’antica religione dei nostri Antenati dove ogni gesto, azione e parola era sacra e l’uomo era consapevole del suo ruolo e delle potenti conseguenze che ognuna di queste portava.
La Religio Romana continua ad essere la religione del giuramento e del dovere, e omettere ciò per far trionfare il cuore e gli impulsi, volubili e caduchi per loro natura, significa negare lo spirito più autentico della Cultura Romana che diede vita alla Civiltà da cui discendiamo.